Donne Lavoratrici e Madri : Un evento Parentale
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Tanto meraviglioso il tema della gravidanza, quanto citato e discusso quando rientra in ambito lavorativo e delle Donne Lavoratrici.
È innanzitutto da porre l’accento sul fatto che l’evento non consiste in una malattia della donna, ma in un suo stato d’essere. In tal senso la donna si caratterizza di questo “stato interessante” in aggiunta al suo già essere donna e lavoratrice.
Gli articoli precedenti hanno indagato diverse tematiche al femminile rendendo diverse sfaccettature della donna legate ai temi della salute e del lavoro.
In questo articolo si cercherà di fare ordine e chiarezza offrendo un sunto abbastanza pratico e intuitivo sulla normativa principale che disciplina la tutela delle lavoratrici connessa alla maternità, ma anche , come vedremo, dei lavoratori e della loro paternità.
L’avere un figlio infatti è un evento parentale che nella sua gestione viene condiviso, seppur in parte in maniera diversa, da entrambi i genitori.
La Normativa sulle Donna Lavoratrice
Il testo unico comprensivo delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità è il Decreto Legislativo del 26 marzo 2001, n. 151.
Tale decreto disciplina i congedi, i riposi, i permessi e la tutela delle Donne lavoratrici e dei lavoratori connessi alla maternità e alla paternità di figli naturali, adottivi e in affidamento, nonché il sostegno economico alla maternità e paternità. Situazioni particolari di maggiore favore, enuncia il decreto, sono stabilite da altre leggi, disposizioni e dai contratti collettivi nazionali del lavoro (CCNL).
Il Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151 interseca le integrazioni del Decreto Legislativo n. 119 del 18/07/2011 e la normativa, più generale, che regola la Salute e la Sicurezza nei luoghi di lavoro: il Decreto Legislativo 81 del 2008.
In quest’ultimo decreto, nello specifico all’articolo 28, il Legislatore specifica l’”Oggetto della valutazione dei rischi” da farsi in ogni luogo di lavoro, su tutti i rischi e a cura del datore di lavoro.
“La valutazione (omissis) anche nella scelta delle attrezzature di lavoro, e delle sostanze o dei preparati chimici impiegati, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro, deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui (omissis) quelli riguardanti le Donne lavoratrici in stato di gravidanza, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151”
Valutare quindi anche le condizioni di lavoro di una lavoratrice in stato interessante è obbligo non delegabile del datore di lavoro il quale può richiedere il supporto del Servizio di prevenzione e protezione aziendale (RSPP) e del Medico competente: figure a conoscenza dei rischi lavorativi specifici e dello stato di salute delle lavoratrici.
Il datore di lavoro, in definitiva, deve mettere in moto tutta una serie di ragionamenti, in larga parte dettati dalla normativa, al fine di non esporre la donna a nessun tipo di pericolo.
COSA DEVE FARE LA LAVORATICE IN CASO DI GRAVIDANZA?
Come prima forma di tutela, è fatto obbligo alle Donne Lavoratrici di comunicare, al datore di lavoro, il proprio stato di gravidanza non appena accertato, insieme al certificato medico attestante lo stato.
In questo modo, il datore di lavoro potrà verificare se sussistono le condizioni per cui la donna possa proseguire le sue attività lavorative o se invece esiste uno stato di pericolo per le lavorazioni affidate.
Le misure di tutela della sicurezza e della salute delle Donne lavoratrici devono essere garantite per tutto il periodo della gestazione e fino a sette mesi di età del figlio. Tale durata e tutela si applica altresì alle lavoratrici che hanno ricevuto bambini in adozione o in affidamento.
COSA DEVE FARE IL DATORE DI LAVORO A SEGUITO DELLA COMUNICAZIONE DA PARTE DELLA LAVORATRICE DEL SUO STATO DI GRAVIDANZA? E COSA DEVE SAPERE LA LAVORATRICE?
Il datore di lavoro, a seguito della comunicazione, deve far fronte a un’eventuale modifica del lavoro della donna.
In questo periodo, per così dire “protetto” vi sono dei lavori che rientrano tra quelli vietati per la lavoratrice. Generalmente:
“È vietato adibire le lavoratrici al trasporto e al sollevamento di pesi, nonché ai lavori pericolosi, faticosi e insalubri”.
I lavori pericolosi, faticosi e insalubri sono definiti da un altro decreto: del Presidente della Repubblica del 25 novembre 1976, n. 1026.
Le attività vietate per la lavoratrice in stato interessante si suddividono in divieti durante la gestazione e divieti sia durante la gestazione sia per i sette mesi successivi alla data del parto.
Attività vietate durante la gestazione fino al termine del periodo d’interdizione dal lavoro:
- su scale ed impalcature mobili e fisse
- di manovalanza pesante
- che comportano una stazione in piedi per più di metà dell’orario lavorativo o che obbligano ad una posizione particolarmente affaticante
- con macchina mossa a pedale, o comandata a pedale, quando il ritmo del movimento sia frequente, o esiga un notevole sforzo
- con macchine scuotenti o con utensili che trasmettono intense vibrazioni
- di manda e trapianto del riso
- a bordo delle navi, degli aerei, dei treni, dei pullman e di ogni mezzo di comunicazione in moto
- notturne: dalle ore 22.00 alle ore 6.00
In relazione a tali attività vi sono degli agenti, fisici e chimici che possono comportare lesioni del feto e/o placenta.
Agenti fisici: colpi, vibrazioni meccaniche, movimentazione manuale di carichi pesanti, rumore, radiazioni ionizzanti e non ionizzanti, sollecitazioni termiche.
Agenti chimici: sostanze e preparati tossici (T), molto tossici (T+), corrosivi (C), esplosivi (E), o estremamente infiammabili (F+); sostanze e preparati classificati come nocivi (Xn) e caratterizzati da una o più delle seguenti frasi di rischio: R46: può provocare alterazioni genetiche ereditarie, R60: può ridurre la fertilità, R61: può danneggiare i bambini non ancora nati; piombo e composti, amianto.
Il lavoro notturno, inoltre, è vietato fino ad un anno di età del bambino e non sono obbligati a prestare lavoro notturno:
- la lavoratrice madre di un figlio di età inferiore a tre anni o, in alternativa, il lavoratore padre convivente con la stessa;
- la lavoratrice o il lavoratore che sia l’unico genitore affidatario di un figlio convivente di eta’ inferiore a dodici anni.
- non sono altresi’ obbligati a prestare lavoro notturno la lavoratrice o il lavoratore che abbia a proprio carico un soggetto disabile
Poi vi sono attività vietate non solo durante il periodo della gestazione, ma fino a sette mesi dopo il parto. Tra queste:
- che espongono alla silicosi o all’asbestosi (omissis)
- che comportano l’esposizione a radiazioni ionizzanti
- di assistenza e cura degli infermi nei sanatori o nei reparti per malattie infettive e per malattie nervose e mentali
- agricole che implicano la manipolazione e l’uso di sostanze tossiche o altrimenti nocive nella concimazione del terreno e nella cura del bestiame.
Per le operatrici di Polizia di Stato, penitenziaria e municipale, il Decreto 26 marzo 2001, n. 151 precisa che non devono essere adibite al lavoro operativo.
Nel periodo entro il quale sono previsti i divieti e gli accorgimenti suddetti, la lavoratrice dovrà essere addetta ad altre mansioni, qualora non sia sufficiente una modifica delle condizioni di lavoro e/o degli orari.
Semmai la mansione alternativa fosse inferiore a quella abituale, la lavoratrice conserva la retribuzione corrispondente alla mansione in precedenza svolta, nonché la qualifica originale.
Lo spostamento di mansione deve essere comunicato al servizio ispettivo del Ministro del Lavoro competente nel territorio.
Se non fosse possibile spostare la lavoratrice ad altra mansione, come spesso avviene, deve essere fatta comunicazione agli organi competenti affinché dispongano l’interdizione anticipata dal lavoro.
Ma vediamo nel concreto cosa succede quando una donna in stato interessante si trova a dover affrontare dei lavori pesanti a lavoro. Importanti informazioni e dati ci sono forniti alla pagina 5 de “I documenti di quotidianosanità.it – Gravidanza, parto e allattamento al seno” di cui ne riporto uno stralcio:
[…] In presenza di lavori pesanti o nocivi una donna su due interrompe il lavoro al terzo mese.
La tutela della gravidanza sul lavoro è rilevante per la salute della madre e del feto, in particolare se la donna è impiegata in mansioni nocive o pesanti (nel 2013 il 25,4% delle donne occupate prima della gravidanza). Questo tipo di attività è svolto più frequentemente dalle donne più giovani (39,8%), meno istruite (42,2%), straniere (37,9%) e residenti nel Nord (in particolare nel Nord est, 31,9%) (Prospetto 3). In particolare le donne con basso titolo di studio ricoprono in maggioranza mansioni che richiedono sollevamento di carichi e di pesi (71,2%), così come quelle con diploma (59,4%).
Nel 2013 il 62,4% delle donne occupate in attività pesanti o potenzialmente nocive per la gravidanza ha interrotto il lavoro entro il terzo mese di gravidanza (il 68,0% nel 2005).
Tra le donne occupate che dichiarano di non svolgere un lavoro con mansioni pesanti o nocive circa il 40% lascia il lavoro entro il sesto mese (quota simile al 2005), il 26,7% al settimo mese, in osservanza del periodo di astensione obbligatorio (salvo flessibilità) e solo meno dell’8% aspetta l’ultimo mese di gravidanza. Nel tempo si rileva una progressiva posticipazione dell’astensione dal lavoro dalla fine del settimo alla fine dell’ottavo mese: nel 2000 il 10,9% lasciava il lavoro all’ottavo mese, la quota sale al 21% nel 2005 e si attesta al 27,6% nel 2013, anche come effetto della flessibilità del congedo di maternità dopo l’ottavo mese […].
Finora abbiamo visto cosa è necessario sapere e fare in caso di lavoratrici esposte a tutta una serie di rischi particolari, ma cosa avviene nel caso in cui fortunatamente non ci siano pericoli per la lavoratrice?
Nel caso in cui non esistano pericoli, e rischi per la lavoratrice e il feto, la donna ha diritto all’astensione dal lavoro per cinque mesi (congedo di maternità obbligatorio), da due mesi prima la data presunta del parto a tre mesi dopo la nascita del bambino o, su scelta della lavoratrice, da un mese prima la data presunta del parto fino a quattro mesi dopo la nascita.
La lavoratrice ha la facoltà di chiedere il prolungamento dell’attività lavorativa fino all’ottavo mese di gravidanza. In questo caso è necessario presentare al Medico Competente dell’azienda un certificato del proprio Medico curante e inoltrare la richiesta di prolungamento all’INPS. Di norma il prolungamento viene richiesto quando l’attività lavorativa non comporta rischi particolari e la gravidanza procede regolarmente.
Riguardo i congedi di maternità e paternità sono state introdotte delle integrazioni molto importanti al Decreto Legislativo n. 151 del 2001. Queste sono riportate, e qui riprese in parte, dal Decreto Legislativo n. 119 del 18/07/2011.
Un primo intervento opera sulla c.d. astensione obbligatoria, di 5 mesi, prevista dagli articoli 16 e ss..
L’articolo 16, infatti, viene integrato con un comma, l’1-bis, contemplando così anche il caso di interruzione spontanea o terapeutica della gravidanza successiva al 180° giorno dall’inizio della gestazione (ai sensi dell’art. 19, infatti, se intervenuta precedentemente, viene considerata come malattia).
A differenza dell’attuale disciplina – in assenza di una specifica regolamentazione veniva trattata come parto prematuro e dunque vi si applicava l’astensione obbligatoria – viene prevista la facoltà per le lavoratrici di riprendere in qualunque momento l’attività lavorativa.
Tale disposizione, adottata a tutela della condizione psicofisica della lavoratrice, prevede, dal punto di vista procedurale, esclusivamente un preavviso di almeno dieci giorni al datore e l’attestazione, da parte del medico specialista del SSN e del medico competente, che il rientro al lavoro non rechi pregiudizio alla salute della lavoratrice.
La stessa disciplina viene prevista anche per il caso di morte prematura del bambino
(decesso alla nascita o durante il congedo).
ADOZIONE E AFFIDAMENTO
Nei casi di adozione e affidamento, il congedo di maternità deve essere fruito durante i primi tre mesi successivi all’effettivo ingresso del bambino nella famiglia della lavoratrice. Tale congedo può essere richiesto dalle Donne lavoratrici che abbiano ottenuto in affidamento un bambino di età non superiore a sei anni.
Il congedo è anche previsto, ma senza né indennità, né retribuzione, per il periodo di permanenza nello stato straniero richiesto per l’adozione o affidamento.
INTERRUZIONE DI GRAVIDANZA
L’interruzione di gravidanza è un altro aspetto della vita di alcune Donne lavoratrici che in certi casi può essere connesso con la sua condizione professionale non solo in termini di rischi sul lavoro, ma di precarietà della condizione professionale.
Di seguito alcuni dati significativi relativi l’IVG interruzione volontaria della gravidanza estrapolati da “I documenti di quotidianosanità.it – Interruzioni volontarie della gravidanza” pagine 7, 8.
[…] La condizione professionale delle Donne lavoratrici che hanno fatto ricorso all’interruzione volontaria della gravidanza nel 2012 riflette la precarietà lavorativa delle migranti: pur essendo nella maggior parte dei casi occupate (41,5% contro 46,4% delle italiane), la condizione di disoccupata riguarda il 24,8% delle straniere contro il 16,1% delle italiane. Sono anche più spesso casalinghe (26,9%) e solo una piccola parte (5,5%) è studentessa.
Il 39,2% delle straniere che ricorrono all’Ivg nel 2012 ha già due o più figli, mentre tra le italiane questa percentuale scende al 29,0%: per queste ultime il ricorso all’Ivg è stato effettuato nel 51,9% dei casi in assenza di figli.
La maggior parte delle Donne lavoratrici è alla loro prima interruzione volontaria di gravidanza: 79,2% tra le italiane e 62,2% tra le straniere. La quota di Ivg ripetute è di oltre 8 punti percentuali più elevata tra queste ultime rispetto alle italiane, sia per quelle di secondo ordine (cioè con una Ivg precedente) che di ordine superiore (con due o più Ivg precedenti).
Le cittadinanze cui corrisponde un elevato numero di interruzioni volontarie della gravidanza (nello specifico superiore a 2.000 casi) sono, nell’ordine: Romania, Albania, Repubblica Popolare Cinese e Marocco (che sono anche i Paesi da cui proviene la maggior parte delle donne straniere) […].
UN EVENTO PARENTALE
Parliamo anche di paternità.
La paternità è un aspetto, nell’evento della nascita di un bambino o dell’arrivo di un bambino a casa, che non viene mai abbastanza contemplato. Ma l’avere un figlio non è solo questione di maternità.
Non a caso, il decreto legislativo del 26 marzo 2001, n. 151 si pronuncia anche in merito al congedo di paternità.
“Il padre lavoratore ha diritto di astenersi dal lavoro per tutta la durata del congedo di maternità o per la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice, in caso di morte o di grave infermità della madre ovvero di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre”.
In caso di adozione o affidamento, qualora il congedo non sia stato chiesto dalla lavoratrice, esso spetta, alle stesse condizioni, al padre.
Poi vi sono i congedi parentali, definiti in diversi articoli del decreto n. 151 più volte citato.
Innanzitutto il congedo parentale è un periodo di astensione dal lavoro di un genitore. Il suo scopo è quello di consentire la presenza del genitore accanto al bambino al fine di soddisfare i bisogni affettivi e relazionali del minore.
CONGEDO PARENTALE
Per ogni bambino, nei primi suoi otto anni di vita, ciascun genitore ha diritto di astenersi dal lavoro (omissis). I relativi congedi parentali dei genitori non possono complessivamente eccedere il limite di dieci mesi (omissis).
Nell’ambito del predetto limite, il diritto di astenersi dal lavoro compete:
- alla madre lavoratrice, trascorso il periodo di congedo i maternità, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi;
- al padre lavoratore, dalla nascita del figlio, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi
- qualora vi sia un solo genitore, per un periodo continuativo o frazionato non superiore ai dieci mesi.
(omissis)
- il congedo parentale spetta al genitore richiedente anche qualora l’altro genitore non ne abbia diritto.
PROLUNGAMENTO DEL CONGEDO DELLE DONNE LAVORATRICI
- La lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre di minore con handicap in situazione di gravità accertata (omissis) hanno diritto al prolungamento fino a tre anni del congedo parentale a condizione che il bambino non sia ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati.
- (omissis)
- Il congedo spetta al genitore richiedente anche qualora l’altro genitore non ne abbia diritto.
- (omissis)
Per quanto riguarda il trattamento economico, se per il congedo di maternità la retribuzione corrisponde all’80% della retribuzione giornaliera, per i congedi parentali questa è pari al 30%, per un periodo massimo complessivo, tra i genitori, di sei mesi.
Interessante, a proposito dei congedi parentali, sono le integrazioni apportate, anche in questo caso, dal Decreto Legislativo n. 119 del 18/07/2011, nello specifico riguardo i congedi per i genitori di minori con handicap:
(omissis) riguarda l’articolo 33, dedicato al prolungamento del congedo parentale per i genitori di minore con handicap in situazione di gravità.
Com’è noto, in questi casi, e purché il bambino non sia ricoverato, è consentito al padre o alla madre di prolungare, per ogni minore con handicap, fino a tre anni il congedo parentale, con decorrenza dal termine del periodo di astensione facoltativa, regolato all’art. 32.
Le modifiche apportate dall’emanando decreto chiariscono che tale diritto, da esercitarsi entro il compimento dell’ottavo anno di vita del bambino, fruibile in misura continuativa o frazionata, è per un periodo massimo di tre anni (omissis).
Viene, inoltre, ammesso il diritto a fruirne anche se il bambino è ricoverato, purché sia richiesta dai sanitari la presenza del genitore.
Novità intervengono anche in tema di riposi e permessi per figli con hacon handicap grave, regolati all’art. 42.
Confermando la possibilità, fino al compimento del terzo anno del bambino, di usufruire, in luogo del prolungamento del periodo di congedo parentale di cui all’art. 33, delle due ore di riposo giornaliero retribuito (ex art. 33, co. 2 della legge n. 104 del 1992), tale misura viene prevista a sua volta alternativa (nella versione attualmente vigente, invece, è “successivamente al terzo anno di età”) ai permessi previsti dall’art. 33, co. 3 della legge 104 del 1992 (modificata dal collegato lavoro e dallo stesso emanando decreto), ossia ai tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa nell’ambito del mese. Il diritto è riconosciuto ad entrambi i genitori, anche adottivi, che possono fruirne alternativamente.
Dunque, la misura di cui all’art 33, co. 3 della legge n. 104 (tre giorni di permesso mensile retribuito) diviene alternativa al riposo di cui alla legge 104, art. 33, comma 2 (due ore di riposo giornaliero retribuito), a sua volta alternativo al prolungamento del congedo parentale.
DALL’”ANNUNCIO” AL RIENTRO A LAVORO
Nel periodo che intercorre tra l’inizio della gravidanza e un anno di età del bambino ci sono delle regole ben precise da rispettare e dei diritti ben saldi sia per la madre che per il padre.
Riguardano il divieto di licenziamento, le dimissioni e le modalità di rientro.
DIVIETO DI LICENZIAMENTO
(omissis)
1. Le Donne lavoratrici non possono essere licenziate dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione dal lavoro, nonché’ fino al compimento di un anno di età del bambino.
2. Il divieto di licenziamento opera in connessione con lo stato oggettivo di gravidanza, e la lavoratrice, licenziata nel corso del periodo in cui opera il divieto, è tenuta a presentare al datore di lavoro idonea certificazione dalla quale risulti l’esistenza all’epoca del licenziamento, delle condizioni che lo vietavano.
3. Il divieto di licenziamento non si applica nel caso:
a) di colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro;
b) di cessazione dell’attività dell’azienda cui essa è addetta;
c) di ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine;
d) di esito negativo della prova; resta fermo il divieto di discriminazione (omissis).
4. Durante il periodo nel quale opera il divieto di licenziamento, la lavoratrice non può essere sospesa dal lavoro, salvo il caso che sia sospesa l’attività dell’azienda o del reparto cui essa è addetta, sempreché il reparto stesso abbia autonomia funzionale. La lavoratrice non può altresì essere collocata in mobilità a seguito di licenziamento collettivo ai sensi della legge 23 luglio 1991, n. 223, e successive modificazioni.
5. Il licenziamento intimato alla lavoratrice in violazione delle disposizioni è nullo.
6. E’ altresì nullo il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore.
7. In caso di fruizione del congedo di paternità, il divieto di licenziamento si applica anche al padre lavoratore per la durata del congedo stesso e si estende fino al compimento di un anno di età del bambino.
(omissis)
9. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche in caso di adozione e di affidamento. Il divieto di licenziamento si applica fino a un anno dall’ingresso del minore nel nucleo familiare, in caso di fruizione del congedo di maternità e di paternità.
DIMISSIONI
(omissis)
- In caso di dimissioni volontarie presentate durante il periodo per cui è previsto il divieto di licenziamento, le Donne lavoratrici hanno diritto alle indennità previste da disposizioni di legge e contrattuali per il caso di licenziamento.
- La disposizione di cui al comma 1 si applica al padre lavoratore che ha fruito del congedo di paternità.
- La disposizione di cui al comma 1 si applica anche nel caso di adozione e di affidamento, entro un anno dall’ingresso del minore nel nucleo familiare.
- La richiesta di dimissioni presentata dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante il primo anno di vita del bambino o nel primo anno di accoglienza del minore adottato o in affidamento, deve essere convalidata dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro, competente per territorio. A detta convalida è condizionata la risoluzione del rapporto di lavoro.
- Nel caso di dimissioni di cui al presente articolo, la lavoratrice o il lavoratore non sono tenuti al preavviso.
DIRITTO AL RIENTRO E ALLA CONSERVAZIONE DEL POSTO
(omissis)
- le Donne lavoratrici hanno diritto di conservare il posto di lavoro e, salvo che espressamente vi rinuncino, di rientrare nella stessa unità produttiva ove erano occupate all’inizio del periodo di gravidanza o in altra ubicata nel medesimo comune, e di permanervi fino al compimento di un anno di età del bambino; hanno altresì diritto di essere adibite alle mansioni da ultimo svolte o a mansioni equivalenti.
- La disposizione di cui al comma 1 si applica anche al lavoratore al rientro al lavoro dopo la fruizione del congedo di paternità.
(omissis)
- Le disposizioni del presente articolo si applicano anche in caso di adozione e di affidamento fino a un anno dall’ingresso del minore nel nucleo familiare.
DONNE LAVORATRICI AUTONOME: DUBBI DA CHIARIRE
Il tema delle Donne lavoratrici autonome gestanti è un punto cruciale nella discussione che vede al centro la donna lavoratrice libera professionista e il suo desiderio di essere madre.
Il sistema legislativo e previdenziale italiano prevede analoga tutela delle lavoratrici dipendenti, per le lavoratrici autonome, ma nonostante quanto viene affermato, qualche dubbio resta.
Alle Donne lavoratrici con contratto a progetto, alle libere professioniste senza cassa, alle lavoratrici agricole e a tutte le altre lavoratrici parasubordinate spetta il congedo di maternità ed il pagamento da parte dell’Inps dell’indennità di maternità. Per ottenerla sono necessari dei requisiti contributivi.
Più precisamente, il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale ha provveduto con il D.M. del 12 luglio 2007 ad estendere l’applicazione delle disposizioni previste dal Testo Unico a tutela della maternità e della paternità, il Decreto Legislativo n. 151 del 2001, anche nei confronti delle Donne lavoratrici iscritte alla gestione separata dell’Inps. L’applicazione è per i parti avvenuti dal 7 novembre 2007 in poi.
Che cos’è la gestione separata Inps?
La Gestione Separata è un fondo pensionistico finanziato con i contributi previdenziali obbligatori dei lavoratori assicurati e nasce con la Legge 335 del 1995. Scopo della riforma era, fra gli altri, quello di assicurare la tutela previdenziale a categorie di lavoratori fino ad allora escluse.
L’obiettivo è stato raggiunto, aggregando alcune categorie di professionisti e casse professionali già esistenti, e disponendo l’iscrizione alla gestione separata della quasi totalità delle forme di collaborazione coordinata e continuativa, che fino ad allora non avevano mai beneficiato di alcuna disciplina specifica, né giuridica, né previdenziale, e della categoria dei venditori a domicilio.
Fonti Inps riportano che alle lavoratrici iscritte alla Gestione separata Inps, non pensionate e non iscritte ad altra forma previdenziale obbligatoria, sono quindi riconosciute tutte le disposizioni di legge riguardanti:
il congedo obbligatorio per maternità, la flessibilità dello stesso, l’interdizione anticipata per gravidanza a rischio nonché la eventuale proroga dell’astensione. Per il periodo di congedo di maternità le Donne lavoratrici hanno diritto a percepire l’indennità di maternità.
Di seguito, alcuni passaggi necessari da conoscere:
- Innanzitutto, è da specificare che le lavoratrici autonome in gravidanza, comprese quelle iscritte alla Gestione separata, ricevono un’indennità di 5 mesi, pari all’80% del reddito.
- Ne hanno diritto sia le professioniste di “nuova generazione”, iscritte alla Gestione separata, sia le Donne lavoratrici autonome un po’ più “tradizionali”, come le artigiane o le commercianti.
- Si ha diritto all’assegno a partire dal secondo mese che precede la presunta nascita del bambino (stimata e certificata dal medico) fino al terzo mese successivo al parto. Le regole sono flessibili poiché, attraverso una precisa richiesta, la lavoratrice autonoma può far slittare in avanti di 30 giorni il pagamento dell’indennità: dall’ultimo mese precedente la nascita, fino al quarto mese successivo. In caso di parto prematuro, la professionista ha comunque diritto a ricevere l’assegno fino al terzo o quarto mese successivo alla nascita presunta (certificata in precedenza dal medico) senza perdere neanche un giorno di copertura.
Se invece il figlio viene adottato, la rendita dell’Inps per le mamme viene corrisposta nei 3 mesi successivi all’ingresso del bambino nella famiglia, purché si tratti di un minore con età inferiore a 6 anni. Fanno eccezione le adozioni internazionali, per le quali il sussidio alla maternità viene pagato anche se il figlio ha superato i 6 anni e non ha ancora compiuto la maggiore età.
- Per determinare l’importo dell’indennità, l’Inps deve esaminare i documenti fiscali presentati dalla professionista negli anni precedenti e fare una media dei compensi incassati nei 12 mesi prima del periodo di maternità. Il reddito viene diviso per 365, in quanto è calcolato su base giornaliera e, sulla cifra ricavata, viene poi calcolata una percentuale dell’80%. Il risultato di questa operazione determina l’importo dell’assegno a cui la futura mamma ha diritto quotidianamente, per il periodo prestabilito di 5 mesi.
- Per ottenere i sussidi, le Donne lavoratrici autonome devono però rispettare alcuni requisiti importanti, pena la perdita dell’indennità. Innanzitutto, nel periodo di erogazione dell’assegno non si può fatturare alcun compenso né esercitare la propria professione (come avviene, del resto, per qualsiasi lavoratrice dipendente). Inoltre, le donne iscritte alla Gestione separata devono aver versato almeno 3 mesi di contribuzione nell’ultimo anno.
- L’assegno di maternità viene erogato su richiesta. Per ottenerlo, occorre presentare all’Inps il certificato medico che attesta la data presunta del parto e un’auto-dichiarazione della libera professionista (accompagnata anche da quella dell’azienda committente, in caso di collaborazioni a progetto) che si impegna ad astenersi dal lavoro per 5 mesi. Inoltre, occorre consegnare all’Inps anche l’ultima dichiarazione dei redditi. Se i 12 mesi che precedono il periodo di maternità sono a cavallo di due anni, dovranno essere presentate due copie del modello Unico, relative ai due esercizi precedenti.
Per cui, per limitare gli effetti connessi alla gravidanza, esistono alcune importanti forme di sostegno alla maternità, garantite anche al popolo delle partite Iva, le quali sono fondamentali da conoscere.
Dopo una serie di informative concrete e pratiche dal punto di vista normativo e delle tutele, concludo rimarcando l’importanza del considerare una madre e lavoratrice anche e sempre una donna, non per identificarla come persona debole, ma per esaltarne il rispetto.
Chiudo con una citazione dello scrittore e traduttore cinese Lin Yutang: “Di tutti i diritti delle Donne Lavoratrici, il più grande è quello di essere madre”.